giovedì 20 marzo 2014

Chiesto arresto del deputato PD Genovese. Accusa: “Rubò 6mln”

Francantonio Genovese (Pd), chiesto arresto. Accusa: "Rubò 6mln per formazione"
MESSINA – Richiesta d’arresto per Francantonio Genovese, deputato del Pd di Messina. L’accusa, nei confronti suoi e di 4 collaboratori, è di aver sottratto 6 milioni di euro alla formazione professionale. Il Pd in Aula voterà sì nel caso la richiesta d’arresto dovesse essere ritenuta valida dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera.

Secondo il gip gli accusati avrebbero creato corsi di formazione appositi per accedere ai finanziamenti della Regione Sicilia e in alcuni casi i corsi non ci sarebbero proprio stati. Il provvedimento è sospeso ed è stato inviato alla presidenza della Camera. Per diventare esecutivo ci sarà bisogno del voto dell’Aula. Genovese è il primo parlamentare di questa legislatura per il quale è richiesto l’arresto.

Il provvedimento del Gip, che ipotizza il reato di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato e truffa, di richiesta di autorizzazione, dispone gli arresti in carcere.

Altre quattro persone sono state sottoposte agli arresti domiciliari. Tra di loro ci sono l’ex sindaco di San Piero Patti (Messina) Salvatore La Macchia, Roberto Giunta, Domenico Fazio e il commercialista Stefano Galletti: i primi tre sono collaboratori della segretaria politica di Francantonio Genovese. Giunta e Fazio sono anche collaboratori del deputato regionale del Pd Franco Rinaldi, cognato di Genovese, e anche lui indagato. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, al peculato e alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche destinate al finanziamento di progetti formativi tenuti da numerosi centri di formazione professionale. Oltre ai già noti Lumen, Aram, Ancol sono finiti sotto inchiesta anche gli enti Enfap, Enaip, Ial, Training service L&C Learning e consulting, Cesam, Ecap, Esofop, Apindustria e Reti.

Le indagini avrebbero permesso di accertare che i soggetti indagati, attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create, grazie a prezzi gonfiati per l’acquisto di beni e servizi o, addirittura, a prestazioni totalmente simulate, sottraevano a loro vantaggio i fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione. La gran parte degli indagati sono risultati tra loro legati da vincoli di parentela e di assoluta fiducia.

Scrivono gli investigatori: “Il parlamentare, nel corso del tempo ha acquisito, grazie ad una rete di complici riferibili anche alla propria famiglia, il controllo di numerosi enti di formazione operanti in tutta la Sicilia e, parallelamente, di una serie di società che gli hanno permesso di giustificare le appropriazioni, così da lucrare illeciti profitti”.

A Genovese la Procura contesta di essere stato il promotore dell’associazione per delinquere, di aver commesso il reato di riciclaggio per avere intascato, sotto forma di consulenze, oltre 600.000 euro da parte di società del proprio gruppo, parte dei quali erano provento di peculati e frodi alla Regione Siciliana, e di averli poi messi in circolo mediante pagamenti per operazioni inesistenti in modo da non rendere possibile la ricostruzione delle operazioni. Secondo la tesi dell’accusa il parlamentare del Pd avrebbe anche operato un vorticoso giro di false fatture tra sé stesso e società del gruppo a lui riconducibili per frodare sistematicamente il fisco e non pagare le tasse.

La Procura di Messina ritiene che il deputato, per evadere il fisco, si sia avvalso della società Caleservice, trasferendo alla stessa la gran parte del proprio reddito personale e successivamente caricando sui suoi bilanci, come costi societari, tutte le spese personali e della famiglia rendendo così i corrispettivi esenti da tassazione, ed anzi utilizzandoli come costi per aggravare il passivo dell’azienda. A Genovese è anche contestata la gestione di un immobile di 300 metri quadrati, della Caleservice, nel quale, secondo l’accusa, coesistevano in affitto a prezzi gonfiati ed a spese della Regione otto diversi enti di formazione che polizia e guardia di finanza ritiene siano riconducibili al deputato e gestiti da prestanomi. Quest’ultimi, è la tesi dei Pm, avrebbero poi preso in affitto tutti contestualmente l’immobile con canoni che lievitavano fino a 10 volte il valore reale.


Fonte: blitzquotidiano.it

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